martedì 22 novembre 2011

Il mutismo della morte


“La morte lascia un vuoto dentro, come avere un piede al margine di un precipizio e  guardare giù”.  (Cit. Stephen Littleword)
Nella società post moderna sopravvive un tabù innominabile. E’ la morte.
La morte fa parte dei grandi temi della riflessione filosofica: ne hanno parlato filosofi, poeti e letterati. Eppure resta un tabù.
Ciascuno di noi convive con il pensiero che un giorno dovrà morire, ma lo tralascia come se fosse qualcosa che non lo riguardasse in prima persona... o per lo meno al momento.
La vita va di corsa e abbiamo recluso il pensiero della morte alla sfera della privacy personale.
Non ne parliamo con nessuno se non con noi stessi.
Si tratta di un’operazione di cancellazione del problema proprio nell’era in cui della morte si fa spettacolo. Quotidianamente vediamo migliaia di morti: ai telegiornali, nelle fiction, al cinema, in televisione, su internet.  Lo show della cronaca nera.
Non è un caso che la fotografia del dittatore Gheddafi, come quella dei suoi predecessori illustri: Saddam o Osama, abbia fatto il giro del mondo poche ore dopo la sua morte.
Ma allora, cosa ci impedisce di fotografare la lapide dei nostri cari al cimitero?
Non possiamo fare tutti come Daria Bignardi, la quale sulle pagine di un noto settimanale italiano ha ammesso che “ogni qual volta va al cimitero fotografa la tomba dei propri genitori e invia un sms alla sorella con scritto hanno detto di salutarti”.
Cosa ce lo impedisce?
Sarà che l’esposizione alla morte altrui è finalizzata ad esorcizzarla dalle nostre vite?
Perché quando si tratta della nostra morte (o vita), o di quella di un nostro caro, si tende a non parlarne?
La paura che in morte si raccoglie ciò che si è seminato da vivi ci rende muti di fronte al tema della ‘fine’.
Ognuno di noi è consapevole che la morte è un furto che non potrai mai essere denunciato. E’ il furto della vita.
Ma di buono c’è che quanto è stato fatto in vita, di buono o di cattivo,  sarà trasmesso – come se fosse una consegna di armi -  alle prossime generazioni.

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